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SPOLETO (PG) | Palazzo Collicola Arti Visive | 30 giugno – 29 luglio 2018

di JACOPO RICCIARDI

Siamo a Spoleto nel vivacissimo museo Palazzo Collicola Arti Visive diretto da Gianluca Marziani. Sui due piccoli mobile di Calder soffiamo con garbo e loro si muovono, ondeggiano, girano, poi si fermano, leggeri aspettano l’aria mostrando i tre colori primari. Le opere dello scultore Giuseppe Pulvirenti poggiano in diversi modi su qualcosa, sdraiate sul pavimento o in piedi sulla base di una teca, o accostate a un muro, o appese a una parete – questa successione riprende un motivo evolutivo, ma senza supremazie. Per Pulvirenti lo spazio non preesiste e l’opera non ci cade dentro, essa si trova lì accanto ad esso.
Il piccolo quadro di Antonio Corpora, già astrazione, è una memoria di barche a vela in un porto viola, blu scuro, verde e quasi nero. Pulvirenti non ha colori, ma non perché li fugge, ma al contrario perché lì unisce tutti: il bianco è gessoso, superficie appropriante, e il nero è bronzo, quasi nero, materiale nudo, solido e gentilmente massiccio.

Giuseppe Pulvirenti, Cruna tonda – Cruna quadra, veduta della mostra Trademark SP, Palazzo Collicola Arti visive, Spoleto

Nelle tre sale di Leoncillo, dopo la figurazione in lotta tra dentro e fuori, ecco la classicità del dentro farsi fuori e fuori limite del dentro. Sculture spesso cave, materiche di superfici agglomerate in contrasto – ferite – che filtrano e trattengono spazio e identità. La plasticità in Pulvirenti è autoformata, libera dalle variazioni geometriche di particolari in gara l’uno con l’altro: un asse tubolare equivale a un asse squadrato, una curva a un angolo, una sporgenza a una rientranza. Vuoto e pieno sono perfettamente intercambiabili, nessuno domina l’altro o si distingue dall’altro. Tutto resta piatto, in una plasticità nullificata.

Giuseppe Pulvirenti, Senza titolo, 2018

Il titolo di un’opera di Pulverenti è l’ombra che scompare dietro la luce fissa e infinitamente moltiplicabile di una sua opera, in uno svuotamento – nullificazione – dell’Arte. Pulvirenti ci mostra come, togliendo l’Arte all’Arte, resti comunque l’Arte, di come l’Arte sia irriducibile nell’uomo. Quindi il titolo, per paradosso, diventa maggiormente parte dell’opera, e più del solito, proprio perché ne è il margine, anche per un Senza titolo.
All’altro estremo ecco le sigle del nome dell’artista con l’anno di realizzazione della scultura incisi su una piastra non invadente ma ben visibile che esce rigida dal profilo dell’opera. È un elemento estraneo che costruttivamente, dall’esterno, definisce e completa la questione dell’opera d’Arte svuotata d’Arte, superando la concettualità proprio perché l’opera di Pulvirenti è sovraconcettuale, ossia è sì una fisicità annullata ma resta scultorea, e più precisamente prescultorea.

Giuseppe Pulvirenti, TrademarkIII-Due impronte

L’aura dell’enigma di Pulvirenti è un mondo di possibilità mentali che dialogano a proprio agio con l’affresco di Filippo Lippi nel Duomo di Spoleto, svuotando ciò che il pittore, nella sua ricerca, colma di invenzione, in ogni particola dell’opera che dall’abside sale in alto al catino absidale. Pulvirenti svuota perfettamente una grande opera di genio, facendo di ogni punto svuotato un insieme di opportunità cogitanti.
Pulvirenti dialoga meglio e in maniera più vasta con l’affresco di Filippo Lippi che con l’opera – una cappella laica – di Sol Lewitt, chiusa in una stanza del museo. Mi soffermo a guardare con attenzione il primo minimalista-concettuale americano, vedo alcune crepe nei muri che incrociano le fasce ordinate in distinti colori: ora la pittura di Sol Lewitt dialoga più compiutamente con le opere di Pulvirenti. Perché? Pulvirenti utilizza una globalità del pensiero che, non ancora formato del tutto, rasenta il mondo; ossia: l’opera di Pulvirenti non vuole appartenere il mondo circostante, ma stargli di fianco, in una pace umana, che è più di quella cosmica, similmente all’uomo che sta accanto alla propria realtà, e alla realtà – globale – di tutti gli eventi, riuniti senza tempo.
Nella fila di sei sculture su piedistallo di Beverly Pepper, l’elemento circolare e aereo è fatto di metallo lucente in nastri flessuosi e curvi che ritornano su sé. Ecco che quella formalità mostra un racconto nel corpo dello spazio, analizzabile e distinto ad ogni scultura. In Pulvirenti l’opera precede il racconto, precede lo spazio, precede l’idea, precede la concezione, precede il formarsi, ma non l’essere. Essa resta in dialogo svuotato con l’essere e mostra tutto, mostra l’idea, la concezione, lo spazio, liberando in sé l’enigma della meditazione dell’essere.

Giuseppe Pulvirenti, Reversibile, 2018

 

GIUSEPPE PULVIRENTI. Trademark SP
a cura di Gianluca Marziani
in collaborazione con Valentina Bonomo Arte Contemporanea

30 giugno – 29 luglio 2018

Palazzo Collicola Arti Visive
Piazza Collicola, Spoleto (PG)

Info: +39 0743 46434
info@palazzocollicola.it
www.palazzocollicola.eu

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