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Marcello Morandini

di Matteo Galbiati


La galleria Artesilva presenta una personale dell’artista Marcello Morandini, celebrato ed affermato a livello internazionale, in cui si presenta una serie diversa di lavori che ne dichiarano tanto il concentrato e raffinato rigore quanto l’estrosa e diversificata proposta di opere. Architetture, fotografie, disegni, sculture, dipinti ne raccontano un eclettismo ragionato e cosciente in cui si esprime una profonda coerenza oggi tanto difficile da trovare nelle più giovani generazioni di artisti. Nonostante questa severità, sottolineata anche da una bicromia strutturata sul bianco e sul nero, il suo linguaggio è fatto di incredibile e inaspettata vitalità e vivacità; lo sguardo rincorre forme e volumi assecondando uno spirito fresco e sempre innovativo sotto la spinta suggestiva di opere che, in apparenza, sembrano invece bloccate in un grande ed algido equilibrio formale.
Incontriamo l’artista per uno scambio e un confronto sui contenuti e le scelte di questo suo nuovo progetto espositivo…

Matteo Galbiati: Cosa caratterizza questa mostra? Quali contenuti della sua ricerca esplora e indaga?
Marcello Morandini: È come una serena pausa dentro un ambito famigliare, come intermezzo necessario ai grandi e complicati impegni museali, l’occasione per ritrovare amici in “casa” di un amico gallerista, che da anni fedelmente segue e crede nel valore e nella qualità del mio lavoro.

Come ha strutturato il progetto?
Quanto è esposto, per le dimensioni contenute degli spazi, è stato scelto con il piacere, e parzialmente la casualità, di unire opere esteticamente armoniche tra loro, con l’eccezione della parte “architettonica d’arte”, presa parzialmente in prestito dalle ultime esposizioni nei musei di Venezia, Norimberga e Mantova.

Le sue opere, nonostante un’impronta determinatamente geometrica, creano un legame e un coinvolgimento forte in chi le osserva. Come si genera questo processo dialogante?
Credo sia inconsciamente logico per ognuno, essere affascinato dall’evoluzione continua di “forme” che conosciamo, che abitiamo, ma che sempre ci sorprendono per la loro natura infinita.

Il suo linguaggio segue l’orientamento della propria coerenza con grande sapienza senza essere mai stancamente ripetitivo. Come riesce ad evitare questo rischio?
È interessante, perché è il principio con cui lavoro: in ogni nuovo progetto esiste, soprattutto per me, lo scopo e la necessità che il risultato non sia ripetitivo o in “quel modo” conosciuto e risolto. I risultati di questa mia esigenza progettuale trovano conferma nell’interesse positivo, in ogni persona visivamente coinvolta. Quindi posso ben capire, “in chi vede” un interesse e un’attenzione attiva, curiosa.

Come si legano, nella voce della sua arte e della sua ricerca, espressioni differenti – cui lei ricorre – quali la pittura, la scultura, l’architettura e il disegno?
La risposta pratica la troviamo nel perseguire la nostra quotidianità, dove, con emozione e totalità, viviamo nel “bisogno di tradurre e nel vivere le nostre emozioni culturali”, “utilizzando i mezzi più idonei alla nostra struttura fisica”, “in ambienti che ci accolgono, proteggono e rappresentano”. Mi trovo appagato se, attraverso il mio lavoro, posso esprimermi compiutamente in tutti questi ambiti, che mi coinvolgono totalmente come persona.

In un certo senso si muove sempre tra la bidimensionalità e la tridimensionalità generando una tensione vibrante nell’ambiente al quale l’opera si lega. Possiamo parlare di movimenti strutturali e strutturanti? C’é questa idea di spostamento, di dinamica in tensione e di movimento reale o mentale?
Il mio lavoro ha uno stretto rapporto con la nostra percezione psicofisica, che si muove tra pensieri, immagini e tridimensionalità. Il mondo della geometria e della matematica sono il mezzo per compiere esperienze e viaggi utili alla mia conoscenza o per placare in parte la mia ignoranza.

Perché la scelta di regolamentare la costruzione e la strutturazione delle opere attraverso solo due colori così opposti quali il bianco e il nero?

Una penna nera e un foglio bianco possono raccontare il mondo intero. In arte uso i colori bianco e nero, come una grafia su di un foglio, dove per leggere e capire non è necessario nessun altro valore cromatico e “la forma” ha modo di raccontare unicamente la sua verità, la sua bellezza!

Possiamo considerare una forte disciplina nel suo fare, come e perché mantiene questo rigoroso controllo?

Non è masochismo! È la chiave professionale, costruita nel tempo, per arginare altre realtà formali, culturali, umane, sicuramente egualmente importanti, ma estranee a perseguire professionalmente l’esperienza affascinante e appagante dell’humus calvinista del mio lavoro.


In questo senso sente di condividere qualche legame con l’Arte Programmata?

Nel numero di gennaio di Domus sono state dedicate 6 pagine al mio lavoro: François Burkhardt spiega, a suo modo, che sono l’unico ad avere ancora oggi perseguito coerentemente questo ambito culturale della ricerca. Trovo sia in parte vero, ma credo che la natura di quanto abbia fatto o continui con fede a fare, sia più complessa, ben descritto e spiegato anche da moltissimi che nel tempo hanno scritto e si sono occupati del mio lavoro, chiarendone le molteplici implicazioni culturali, al di fuori delle mode e del tempo.

Sembra ci sia anche una forte componente scientifico-matematica nella logica dello sviluppo delle sue opere? Che importanza ha questo aspetto e come interviene nella concezione del lavoro?
Sicuramente è il mezzo per definire e sviluppare con coerenza l’infinito alfabeto della fantasia. La matematica “muove” gli spazi e modella ogni forma, per trovarne identità e anima.

Oggi credo che si abbia necessità di ricerche come la sua che tessono ancora le trame di una riflessione ponderata ed intensa a fronte di una contemporaneità vittima del mercato e delle mode. L’arte corre il rischio di svuotarsi dei propri contenuti? Cosa può dirci dell’arte e del suo “sistema”?
Le mode sono utili sempre, sono vibrazioni necessarie a scuotere la “verità”. L’arte moderna deve sempre essere un dialogo attivo tra anima e cuore, in cerca di nuove emozioni, nuovi linguaggi; in questo nasce sempre almeno un nuovo seme per del buon pane fresco.
Il merito del mio lavoro, che svolgo da quasi cinquant’anni, credo sia quello della progressiva e continua coerenza metodologica nel tempo, senza aderire mai a nessuna teoria ortodossa, libero, ma coerente a principi classici e universali, che rappresentano la base di una realtà artistica in cui s’integrano quotidianamente tutti i settori della ricerca.

A quali progetti sta lavorando? Quali impegni l’attendono?
Nelle ultime esposizioni ho sviluppato maggiormente la mia ricerca artistica a sposarsi con l’architettura, in un tutt’uno ideale, sicuramente possibile e reale. Questo aspetto prenderà sicuramente un rilevo importante nel mio lavoro. Vorrei realizzare concretamente alcuni progetti d’arte di grande formato, già pronti per esposizioni nei prossimi tre anni, in musei in Italia, Francia e Germania. Naturalmente come altrove, vorrei che il mio lavoro fosse conosciuto nel modo giusto anche in Italia. Questa piccola esposizione, nel bellissimo nuovo spazio di Artesilva, è molto positiva. Di questo sono riconoscente e ringrazio coloro che avranno la pazienza e il piacere di conoscerla.

La mostra in breve:
Marcello Morandini
Artesilva
Via S. Rocco 64/66, Seregno (MB)
Info: +39 036 2231648
www.artesilva.com
19 febbraio – 29 aprile 2011

In alto, da sinistra:
“Scultura 554”, 2010, 
legno laccato bianco e nero, 
cm 154x198x25
“Scultura 380”, 1995
, legno laccato bianco e nero
, cm 40x39x232

In centro, da sinistra:
Progetto architettonico 1995-2009
Progetto architettonico 2006-2008
In basso:
Veduta interna della mostra da Artesilva

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