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VERDUNO (CN) | OPEN STUDIOS

Intervista a VALERIO BERRUTI di Luisa Castellini

Valerio Berruti, Dove il cielo s'attacca alla collina, 2013. Cantina Ceretto, Bricco rocche, Castiglion Falletto

Il sole rende limpido il freddo. La strada per arrivare a Verduno ti lascia avventurare nelle Langhe più belle, tra campi educati alla generosità, paesi saliti alla ribalta e altri, come questo, che dopo la guerra sono rimasti con un pugno di abitanti: vecchi, donne, e qualche bambino. «Prima della guerra c’erano sette chiese, un emporio e un panettiere» racconta Valerio Berruti. Ha 16 anni quando, passando di qui sul suo Fantic Oasis, vede quella che sarebbe stata a tratti la sua casa e per sempre il suo studio. Una chiesa diroccata del ’600. «Il tetto era crollato, gli altari erano stati tolti con il martello pneumatico dagli operai del paese che fino agli anni ’60 la usavano come deposito». Quando l’ha acquistata – una foto in canonica ricorda gli ex proprietari: il parroco con Papa Giovanni Paolo II – ha realizzato un sogno che, quaderni alla mano (pubblicati in parte con Charta nel bel volume Primary del 2005), inseguiva seriamente fin da bambino. Così questo, leggenda vuole, è diventato il teatro di tutti gli altri e il perfetto avamposto dal quale trarre energie per portarli nel mondo. Hai mai pensato di andartene? «Scherzi? Ancora mi commuovo per i colori di una giornata come questa. Ho la fortuna, come diceva Pavese, di voler morire nel posto dove sono nato». Mentre lo ascolto, dal portone socchiuso della chiesa si consuma un periodico via vai di curiosi. Entrano, pochi passi, poi arretrano negandosi il piacere di un saluto e la risposta ad almeno una domanda. Sì è una chiesa, ma cosa c’è dentro?

Valerio Berruti: È stata la mia casa per 18 anni e da quando l’ho acquistata, nel ’96, il mio studio. Quando è nato mio figlio Zeno, un paio di anni fa, ci siamo trasferiti ad Alba per motivi pratici. Questo rimane una sorta di “salotto” e resta il mio studiolo, dove vengo soprattutto d’estate a pensare e a disegnare. È qui che sono nati tutti i miei progetti. Alcuni hanno bisogno di molto spazio per essere realizzati e conservati e così ad Alba ho allestito due laboratori più tecnici.

Ex chiesa di San Rocco a Verduno (CN), studio e atelier di Valerio Berruti. Foto Stefania Spadoni

Anche Just Kids, l’ultima installazione che hai presentato aprendo il tuo studio ai visitatori, è nata qui?
Sì, a Verduno l’ho immaginata e ho fatto i primi schizzi: ad Alba l’ho realizzata. Ho voluto quindi “riportarla” dove l’ho pensata, in dialogo con questo luogo straordinario. Mi piace quando l’arte interviene sulla percezione dello spazio. I busti e le braccia di ogni scultura formano un arco naturale. Entrando nello spazio formato dai corpi in cerchio, si ha la percezione di essere all’interno di una cattedrale. I suoi pilastri però sono naturali, come a Stonehenge.

Valerio Berruti, Just KidsIl vertice di questa “cattedrale” formata dai tuoi Kids, è in asse perfetto con la cupola della chiesa trovandovi un’amplificazione. Più volte nella tua ricerca ti sei misurato con il sacro, in che modo?
Nella mia tesi di laurea in critica d’arte, mi sono mosso dalla convinzione che il segno sia la prima e più autentica manifestazione del pensiero dell’uomo e quindi anche del suo senso del sacro. Così ho studiato il segno dei miei “padri” spirituali, Morandi, Beuys, Rothko, Twombly, Giacometti e Serra per poi misurarmi con me stesso e la mia ricerca. Negli anni ho lavorato in diversi contesti religiosi ma credo che il sacro non sia necessariamente religioso e viceversa. Mi affascinano la storia e l’iconografia: questa è stata spesso un pretesto per fare arte, per disegnare e scolpire quello che si voleva. Basta pensare all’Estasi di Santa Teresa e ai tanti sensualissimi San Sebastiano.

Dall’affresco al pixel, passando per juta e metallo, quanto è importante il rapporto con la tecnica?
Ciò che mi interessa è la durata dell’opera, scegliere i materiali, confrontarmi con le necessità espressive ma anche seguire il processo opposto. L’affresco richiede massima organizzazione, concentrazione, rapidità: il lavoro è davvero e per forza a giornate come anticamente. Nella pittura uso, invece, delle tele che hanno una particolare punzonatura fatta a mano. Le produce un’azienda vicino ad Alba che faceva i teloni per i camion e i sacchi per le nocciole. Ecco, forse ho lasciato che questa juta mi ispirasse!

Cosa ti ha affascinato della realizzazione delle sculture di Just Kids?
Ritratto di Valerio BerrutiPotrebbero essere state realizzate duemila anni fa. Sono pezzi unici in metallo: mi sono limitato a lucidare i corpi e a sabbiare le braccia; a cambiare è solo la finitura. È un’opera pensata per essere esposta all’aperto senza temere che si danneggi. Ma è anche un mock up perché voglio realizzarla su scala ancora maggiore, di otto metri, perché prenda definitivamente la dimensione di architettura. Sarà in cemento.

Come sei arrivato dal segno alla scultura?
Attraverso le video animazioni. Ho iniziato a New York insieme a Humberto Duque quando ho partecipato all’ISCP (International Studio & Curatorial Program). Mi piace l’effetto schizofrenico dei disegni che si muovono senza un inizio e una fine. Puoi guardarli un minuto o cinque, mezz’ora o due, e il flusso non cambia, è lo stesso. Credo che il video, nell’arte, abbia senso solo senza narrazione, altrimenti ha già un nome: si chiama cinema. Per questo lavoro sempre con il loop domandando lo stesso anche agli artisti con cui collaboro.

Valerio Berruti, Video mapping, 2013, Comune di Alba

In che modo la musica appartiene alle tue opere?
Mi sono diplomato al Conservatorio perché credo sia importante misurare i propri limiti. Conosco, per me, la difficoltà di fare musica rispetto alla naturalezza del disegno. La musica non “entra” ma appartiene alle mie opere. Non è una colonna sonora o un altro medium ma parte integrante dell’installazione. Le opere realizzate con Paolo Conte e Sakamoto non sarebbero potute esistere altrimenti, senza la loro musica. Anche le collaborazioni non possono che muoversi su questo asse, della necessità.

È proprio una tua collaborazione, per Il sentiero e altre filastrocche (Gallucci Editore, ndr), la raccolta di versi in rima di Gianmaria Testa che hai da poco illustrato, a riportarci qui, nel cuore delle Langhe. Che cosa vorresti realizzare nella tua terra?
Vorrei costruire una bimba su una collina. Dovrebbe essere alta 40 metri per essere vista da Alba, Cuneo e Torino. Ai suoi piedi immagino un luogo di aggregazione non convenzionale capace di accogliere un pic-nic come un concerto. Sarebbe la scultura più alta in Europa, un enorme monumento alla vita. Ci hai mai pensato? Le nostre vie, le piazze, sono sempre intitolate ai caduti, alle tragedie, mai un monito positivo. Ecco, vorrei che una bimba diventasse una scenografia per intromettersi nel nostro quotidiano. Con gioia.

Cover Il sentiero e altre filastrocche, Gallucci Editore

Info: www.valerioberruti.com

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