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MILANO | Spazio Papel | 27 settembre – 17 ottobre 2015

Intervista a GIOVANNI ROBUSTELLI di Luca Bochicchio

Giovanni Robustelli è nato nel 1980 nella città siciliana di Vittoria, dove tuttora vive e lavora. Si è formato da autodidatta in pittura e disegno. Dopo la laurea in Storia dell’arte, nel 2010 ha conseguito il Diploma di Specializzazione nella stessa materia all’Università di Genova.
La sua mostra personale Medea da Pasolini (a cura di Leo Lecci), presentata quest’anno al Castel dell’Ovo di Napoli, sarà visibile in un adattamento allo Spazio Papel di Milano, dal 27 settembre al 17 ottobre (catalogo Edizioni Papel).

Giovanni Robustelli, Medea, 2014, penna a sfera bic su cartone, cm 100x70

Come descriveresti la tua formazione? 
Credo che la mia formazione sia un percorso iniziato quando ero molto piccolo. Ho avuto la fortuna di capire che il disegno mi donava un equilibrio, un’idea, tra la mia coscienza e le novità del mondo. Negli anni ho quindi investito tutto il mio tempo sulla formazione tecnica e culturale del segno, sul suo valore, sulla caratteristica espressiva e narrativa. A 10 anni sfogliavo, ogni giorno, il volume dell’enciclopedia dedicato all’arte e, con molta pazienza e dedizione, copiavo i classici. Non ricalcavo perché capivo che dovevo allenare la mano all’armonia che studiavo, solo così sentivo di comprendere meglio perché quella linea o quel colore erano stati tracciati in un determinato modo anziché un altro, costituendo così un preciso ordine del tempo e dello spazio. Cercavo di entrare in empatia con l’artista attraverso la tecnica. Sono stati anni ingenui ma importanti per apprendere la disciplina e la tecnica. Studiando il segno, ritracciandolo a mano libera, cercavo di capire il valore del significante; a questa cosa ovviamente diedi il nome anni dopo, studiando linguistica generale all’università. Ho guardato molto e disegnato tantissimo, ma le intuizioni più importanti non sono mai provenute dall’arte figurativa in generale. Autori come Carmelo Bene o Aphex Twin, ad esempio, mi hanno coinvolto in una serie di scelte e di studi che reputo necessari per una ricerca profonda sul linguaggio.
Non credo nell’accademia e nell’insegnamento della tecnica come fine espressivo. La tecnica semmai appartiene al linguaggio soltanto se ha una funzione di svuotamento del discorso per non caderne vittima. L’atto artistico risiede nella vanità (vano), nell’abbandono, e lo si ottiene discernendo la coscienza dal soggetto. Questa è una disciplina di metodo, attraverso la tecnica e lo svuotamento quindi del significante.

Giovanni Robustelli, immagine tratta dalla performance IL QUINTO ELEMENTO, 2013

Come scegli i soggetti delle tue opere/serie? O sono loro che scelgono te? 
Amo pensare che io vada incontro, per gli stessi interessi, per gli stessi percorsi, ai miei soggetti. A volte mi vengono suggeriti e se mi piacciono li accolgo volentieri, ma si tratta, in questo caso, di scorciatoie che mi vengono donate o di clamorose coincidenze. In realtà preferisco affrontare i soggetti che incontro nel mio percorso di letture e studi. Se dedico una serie al soggetto di un romanzo che ho letto, ad esempio, è solo perché ho voglia di comprenderne meglio il suo valore, perché questo mi permetterà di proseguire bene, secondo me, la mia vita.

Giovanni Robustelli, Il sogno di Medea, 2015, tecnica mista su carta, cm 560x300

Se si può svelare, mi dici qualcosa sul tuo processo creativo? Se fossi una mosca e potessi seguire Robustelli ogni giorno in studio, che cosa vedrei? 
Tanto per cominciare mi vedresti entrare e scegliere il supporto e la tecnica, mi vedresti iniziare il lavoro e finirlo nel tempo che richiede. Così per ogni opera. Non realizzo mai studi o bozzetti e non pianifico gli esiti dell’immagine. Tutto è improvvisazione, decido solo il giro armonico. Questo atteggiamento mi serve per avere paura di sbagliare e, di conseguenza, concentrarmi meglio. Ogni cosa deve avere senso di esistere, deve avere un valore. Questo richiede tecnica, immaginazione e quindi un forte senso critico. Ovviamente la soddisfazione del mio linguaggio si riduce nei momenti di lavoro. Alla fine di tutto il risultato diventa subito desueto perché i segni mi hanno suggerito altre strade, nuovi strati da scavare. Per la cronaca, nel mio studio ascolteresti molta musica.

Giovanni Robustelli, Giasone e il Centauro, 2015, tecnica mista su tela, cm 200x200

Quale musica? 
Molto Jazz e musica classica, l’elettronica sperimentale e, in generale, mi attira molto la musica indipendente. Iosonouncane è l’ultimo artista che mi sta molto appassionando; ho anche la fortuna di avere due grandi amici musicisti come Francesco Cafiso e Giovanni Caccamo.

Chi è il tuo primo critico? A chi mostri i tuoi lavori compiuti? 
Annovero, tra i miei critici, chiunque capiti per primo. Mi fido di tutti e di nessuno, ho l’ingenua arroganza di voler piacere a tutti e quindi ascolto i pareri di intellettuali ed operai, amici e parenti. Ognuno può dire una grande sciocchezza o regalarti la chiave di volta, a prescindere dalla condizione sociale o culturale, ma alla fine devo sempre rassegnarmi ed avere il coraggio di affidarmi alla mia stessa intelligenza.

Saghe letterarie, cicli mitologici, racconti sacri… C’è una differenza nel modo di affrontarli?
Reputo che qualsiasi cosa è figlia della parola perché siamo esseri “parlati”. La realtà si manifesta attraverso un’illusione costante, prodotta dall’interpretazione dei sensi e dell’intelligenza. Vogliamo capire e spiegare le dinamiche del caos attraverso il linguaggio. Per me, quindi, tutto è vulnerabile, potenzialmente vittima del cortocircuito del linguaggio. La Parola è un contenitore, e il suo significato è labile. Medea, Santa Lucia o Santiago sono la stessa cosa, un’idea, un’astrazione (per come la argomenta puntualmente Wilhelm Worringer). Di conseguenza qualsiasi tema voglia affrontare cerco di andare dietro la storia, la trama, il significato, la morale, il sentimento, per cercare di scoprire il valore della parola, e cioè, del significante.

Giovanni Robustelli, Medea, 2015, tecnica mista su tela, cm 200x200

Cosa cerchi? 
Tutto, anche se io sono miserabile, egoista, ignorante, pieno, insomma, di materiale di risulta e quindi il mio “lavorio” tende a scavare per non trovare più qualcosa da rimuovere: ogni strato raggiunto viene buttato fuori dalla buca, creando un cumulo ai bordi, e più vado in profondità e più sento di mirare allo svuotamento totale per raggiungere quindi l’assenza. Il mio tormento è che probabilmente non riuscirò, purtroppo, a non trovare più nulla ed arrivare ad essere, finalmente, il più cretino.
Prego ogni giorno come se fossi un derviscio.

Cos’è il mito, per te, oggi?
Il mito mantiene la sua validità nei secoli perché, come ho detto prima, è costituito di parole. Durante la storia questi contenitori si sono svuotati continuamente per essere riempiti nuovamente e costantemente, fino ad oggi. Non so se esistono nuovi miti, ma sinceramente non sono riuscito ancora ad affrancarmi da quelli esistenti, non posso permettermi di andare oltre con superficialità.

Giovanni Robustelli, Medea, 2014, olio su tela, cm 80x50Artista o intellettuale? 
Negare una figura per l’altra, o viceversa, sarebbe come essere certo del mio ruolo. Cerco l’incoscienza e vivo costantemente nel dubbio della mia persona, quindi non so darmi una definizione. Quello che realizzo è la traccia della mia ignoranza. Un artista lo è per coscienza altrui. Un intellettuale ha il tempo di volerlo essere.

Com’è nato il desiderio di affrontare Medea?
Arrivare a Medea, che è tra i miti che preferisco per la sua ricchezza di contrasti, di estremismi, è stata l’occasione di un viaggio interiore. Medea è incontro e scontro, dolcezza e odio, amore e violenza. In sostanza il mito è la idiosincrasia tra la realtà e l’astrazione, Medea e Giasone sono l’unione impossibile, nella storia, tra materialità e spiritualità, e questo non può avvenire se non come tragedia. Nello specifico, l’orrore non risiede nell’uccisione dei figli o del fratello di Medea, ma nell’unione infausta tra astrazione e materia, occidente ed oriente, amore e pragmatismo. Nel momento in cui Medea si innamora di Giasone avviene la morte di tutto, del passato (Medea rinnega la propria terra, la propria famiglia, e uccide il fratello) e del futuro (uccide i figli, testimoni dell’unione). Le vicende che si articolano intorno a questa scintilla sono la conseguenza coerente di un’idea, di un evento, di uno scontro tra due parole. Medea e Giasone si incontrano in un punto, due linee che se prima convergevano poi divergono. Lungo queste linee possiamo soltanto mirarne gli effetti.

Dal 2010 al 2015 è un iter lungo, è normale per te? E se no, come mai lo è stato?
Nel cuore del mito, Medea nasconde una verità che credo sia per me di vitale importanza. Per farmi aiutare ho studiato il mito da più punti di vista, traendo spunto dalle interpretazioni che ne hanno fatto i vari autori, da Euripide a Cherubini fino ad arrivare, con l’ultima mostra, a Pasolini. A Napoli, presso Castel dell’Ovo, ho ritenuto quindi importante esporre, oltre la Medea pasoliniana, anche qualche riferimento delle versioni precedenti; la prima stanza, infatti, esponeva la figura di Medea dal 2010 al 2015, come a considerare la forma attraverso l’interpretazione della parola.
Per realizzare la Medea di Pasolini ho impiegato due anni, ma a causa di altri impegni con altre mostre. Vivendo solo di arte devo sempre dare la precedenza a commissioni private, alle richieste delle gallerie per mostre personali o collettive. Grazie a questo lungo periodo di tempo, forzato, ho avuto modo di affrontare la Medea di Pasolini con sempre più strumenti, quelli che si possono imparare nell’arco di due anni.

Giovanni Robustelli, Medea da Pasolini

27 settembre – 17 ottobre 2015

Spazio Papel
via Savona 12, Milano

Info: spaziopapel.net

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