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ROVERETO (TN) | Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto | 5 aprile – 31 agosto 2014

Intervista a CRISTIANA COLLU e GERARDO MOSQUERA di Simone Rebora

Nel confrontarsi con il grande tema del paesaggio, la sensibilità artistica ha conosciuto alcune tra le sue rivoluzioni più profonde, producendo opere che restano inscritte nel nostro bagaglio immemoriale. Oggi, un profumo di paradiso perduto alimenta il successo di grandi operazioni curatoriali, che guardano a passati più o meno remoti. Ma quando l’attenzione si sposta sulla contemporaneità, un fermento non inferiore si affaccia all’orizzonte: certo più scricchiolante, più contraddittorio, ma non meno acceso e vitale. La grande mostra ospitata al Mart di Rovereto si propone di indagare cosa sia il paesaggio oggi, cercando soprattutto di scoprire quanto esso possa farsi guida per lo sviluppo della conoscenza. Per raccontarne la complessità (che non nega un approccio friendly e immersivo) abbiamo incontrato la direttrice del Museo Cristiana Collu e il curatore della mostra Gerardo Mosquera.

Dopo il profluvio espositivo della Magnifica ossessione, lo spazio dedicato alle “grandi mostre” del Mart ospita Perduti nel paesaggio, a cura di Gerardo Mosquera. Da dove deriva questo progetto e come lo avete sviluppato?
Cristiana Collu:
L’idea viene da lontano. Quando vinsi la selezione per diventare direttore del Mart mi si chiese quali ambiti avevo intenzione di esplorare: uno dei primi, per me, era proprio il paesaggio. E questa idea mi sembrava urgente proprio rispetto al territorio in cui s’inserisce il Museo. Nella mostra il paesaggio trentino non è presente, perché è già lì, a due passi: attraverso le finestre del museo ci si può affacciare direttamente sulle montagne. Ma in mostra si vuole raccontare un altro paesaggio, diverso da quello “politicamente corretto” che siamo abituati a frequentare qui in occidente. È anche per questo che ho scelto un curatore cubano, Gerardo Mosquera, che ci ha portato la visione di artisti che provengono dall’altra parte del mondo, in particolare dall’Oriente e dall’America Latina. E questo ci ha aiutato a riscoprire il paesaggio in una chiave diversa: sia come il mondo in cui siamo, sia come il modo in cui noi siamo nel mondo.

Gonzalo Díaz, intervento site-specific nella piazza del Mart,  Credit Mart/foto di Fernando Guerra 2014
“Banditi dal giardino per antonomasia, siamo entrati da banditi nel paesaggio e da allora non abbiamo smesso di farne luogo di perdizione, di danni irreparabili, di rovine materiali e spirituali”. Nelle parole con cui introduce la mostra, si percepisce una vena profonda d’impegno sociale ed ecologico. Anche in relazione a questo ambito dell’arte “impegnata”, qual è l’obiettivo della mostra e come si inserisce nel programma complessivo del Mart?
CC:
Il paesaggio in mostra è molto più crudo rispetto alle sue rappresentazioni consuete. Ci può essere un paesaggio poetico, certo, ma c’è anche un paesaggio duro e colmo di violenza, un paesaggio inquinato e ingannevole (come nelle foto di Emmet Gowin), un paesaggio su cui serpeggiano le tracce delle guerre (si pensi a quei laghetti invitanti di Vandy Rattana, che sono in realtà l’orma lasciata dalle bombe). E questo s’inserisce perfettamente nel programma e negli obiettivi del Mart: dare una maggiore sensibilità verso i temi che preoccupano il contemporaneo, e che magari necessitano di essere visti sotto altri punti di vista. Tutti gli artisti in mostra hanno guardato al mondo e al paesaggio con modalità diverse: non solo quelle bucoliche e consolatorie (che determinano pur sempre la nostra comunione con la natura…), ma anche quelle che fanno attenzione ai suoi aspetti più complessi e friabili. A luglio, poi, la mostra dedicata all’architetto Álvaro Siza sarà affiancata da un nuovo scavo nella collezione del Mart, con particolare attenzione alla tematica del paesaggio.

EPSON scanner image
Riguardo al progetto di allestimento di Giovanni Maria Filindeu: risulta quasi contraddittorio, questo villaggio rurale minimalista, se lo si compara con il disorientamento convogliato dalle opere che ospita. Perché avete scelto questa soluzione e come funziona nell’insieme?
CC:
Per noi è stato fondamentale il discorso sull’architettura: un’architettura che io non definisco effimera, quanto piuttosto temporanea (così come temporanee sono tante cose della nostra vita…). Essa è divenuta quasi come il foglio o lo spartito su cui abbiamo scritto e ordinato la mostra. Secondo tre fattori principali: l’interazione, la coesistenza degli elementi, ma anche la loro interferenza. Il tutto è concepito quasi come una serie di isole, brandelli di terra su cui poi si costruisce. Da qui abbiamo allora pensato alle abitazioni e agli alberi, a una sublimazione e visione essenziale di quegli elementi che fanno parte sia della natura, sia del nostro costruire al suo interno.

Perduti nel paesaggio/Lost in Landscape, Mart, veduta della mostra, Credit     Mart/foto di Fernando Guerra 2014
Lost in landscape
è una mostra sul paesaggio, ma in essa possiamo incontrare diversi scorci urbani, opere concettuali e anche astratte, con una forte persistenza del corpo umano. Il concetto di paesaggio è cambiato molto negli ultimi anni e, come posso vedere, si è tentato di indagare proprio questa mutazione. Ma in tutto questo non posso evitare la domanda fondamentale: che cos’è per te “il paesaggio”?
Gerardo Mosquera:
Quando Cristiana Collu mi ha chiesto di curare una mostra sul paesaggio, ho deciso di evitare qualsiasi definizione fissa di “paesaggio”. Al contrario, ho cercato di presentare una visione di alcuni dei molteplici modi in cui la rappresentazione del paesaggio è stata utilizzata dagli artisti contemporanei – come un mezzo più che come un genere. Alla domanda su chi era Madame Bovary, Gustave Flaubert rispose come noto: “M.me Bovary c’est moi”. Io parafraserei lo scrittore francese dicendo che per me il paesaggio è tutto quello che si trova in mostra, è la mostra stessa.

Luis Camnitzer Landscape as an Attitude, 1979 Courtesy dell'artista e Alexander Gray Associates, New York

Poiché la definizione di paesaggio comprende anche il suo osservatore, sembra che i protagonisti di questa mostra siano il paesaggio e lo spettatore, dove gli artisti hanno il ruolo di semplici medium per l’intera esperienza. In ogni caso, come hai scelto i singoli artisti e le opere esposte? C’è una linea che li può collegare tutti?
GM:
Ho seguito tre linee principali per scegliere gli artisti e le loro opere. In primo luogo: l’uso del paesaggio più come uno strumento che come un fine in sé. In alcuni casi – si pensi ad esempio a Marina Abramović o alle opere di Carlo Guaita – gli artisti probabilmente non hanno nemmeno pensato al paesaggio mentre producevano le loro opere; tuttavia, una qualche estetica del paesaggio è stata usata inconsapevolmente per crearle – e noi la percepiamo come recettori attivi.

In secondo luogo: le nozioni di appropriazione e di identificazione che sono al lavoro nella percezione del paesaggio e nella sua rappresentazione. Per evidenziare questo ho usato una citazione da Italo Calvino come epigrafe per la mostra: “Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà”. Tale dialettica tra possesso e distanza che agisce in ogni paesaggio è evidente in molte opere, che in alcuni casi la portano all’estremo: penso a Glenda León che identifica la sua schiena nuda con il cosmo, a Huang Yan che dipinge paesaggi su corpi umani, o a Luis Camnitzer che identifica il paesaggio con un atteggiamento…

In terzo luogo: la selezione di opere che attraggono sia in maniera visiva che concettuale. Credo che la complessità intellettuale di un’opera d’arte non escluda il suo carattere estetico. Possiamo verificare questo molto chiaramente, per esempio, nel video di Gao Shiquiang o nell’intervento site-specific di Gonzalo Díaz nella piazza del Mart. In alcuni casi l’estetica articola i significati dei lavori, come nelle foto di Fernando Brito, di Vandy Rattana e di Yao Lu.

Phnom Penh (Cambodia)

L’esposizione si apre e si chiude con riferimenti alle scienze e alle tecnologie moderne. Come pensi che queste influenzino la sensibilità comune (e artistica), e qual è il tuo rapporto con esse?
GM:
Sensibilità artistiche e comuni sono sempre state influenzate dallo stato delle conoscenze nel loro tempo. L’impatto che la scienza ha sull’arte in questa era digitale – non come tema, ma come influenza generale – non è una sorpresa. Ad esempio, la mostra presenta paesaggi a volo d’uccello (Rubens Mano, Alain Paiement), una nuova prospettiva introdotta dalla possibilità di volare e riprendere da una grande distanza. Il mio iniziare e finire la mostra con immagini scientifiche non era il risultato di un particolare interesse per la scienza e la tecnologia, o del bisogno di introdurle in un contesto artistico. È stata l’immagine di Planck – la rappresentazione più completa dell’universo che sia mai stata raggiunta – che mi ha affascinato nella sua paradossalità e arroganza. L’ho piazzata all’ingresso come l’immagine più emblematica della mostra, grazie alla sua estrema incarnazione delle tre linee che sono state discusse prima. Alla fine del percorso Cristina Lucas ci porta a passeggiare nel paesaggio scientifico dell’immagine di Planck – una passeggiata virtuale nel cosmo! – per mezzo della tecnologia digitale, che ha impiegato in modo poetico e giocoso.

Perduti nel paesaggio/Lost in Landscape, Mart, veduta della mostra, Credit     Mart/foto di Fernando Guerra 2014

Parliamo del catalogo. Un oggetto complesso, in cui ho trovato una grande abbondanza di contributi teorici: qual è il suo scopo, e come si rapporta con la mostra?
GM: Il Mart ha la tradizione di pubblicare grandi cataloghi per le sue mostre, e abbiamo cercato di seguirla anche con questo – tenendo conto dei limiti di un periodo di crisi. La nostra intenzione era quella di avere una pubblicazione che non solo potesse ampliare il contenuto della mostra e presentare le opere in essa incluse, ma che discutesse la questione del paesaggio con i contributi di esperti provenienti da diversi campi correlati. Allo stesso tempo, non volevamo un catalogo ragionato troppo pesante, ma un volume che seguisse l’approccio friendly dello show, senza diminuirne il livello teorico. Mi spiace che la pubblicazione sia solo in lingua italiana – a causa di restrizioni di bilancio e dell’inclinazione endogamica della cultura italiana –, poiché sono sicuro che avrebbe potuto attirare un pubblico ancora più ampio.

Perduti nel paesaggio/Lost in Landscape, Mart, veduta della mostra, Credit     Mart/foto di Fernando Guerra 2014

Per concludere un consiglio per il visitatore, specie quello che ha poca o nessuna dimestichezza con l’arte contemporanea. Come approcciarsi a questa mostra?
GM: Semplicemente si muova con agevolezza e lasci che sia la mostra ad avvicinarlo.

Perduti nel paesaggio

a cura di Gerardo Mosquera

Artisti in mostra: Marina Abramović, Tarek Al Ghoussein, Lara Almárcegui, Analía Amaya, Carlo Alberto Andreasi, Massimo Bartolini, Gabriele Basilico, Bae Bien-U, Bleda y Rosa, Fernando Brito, Luis Camnitzer, Pablo Cardoso, Jordi Colomer, Russell Crotty, Gonzalo Dìaz, Simon Faithfull, Fischli & Weiss, Carlos Garaicoa, Emmet Gowin, Carlo Guaita, Andreas Gursky, Rula Halawani, Todd Hido, Huang Yan, Carlos Irijalba, Takahiro Iwasaki, Isaac Julien, Anselm Kiefer, Iosif Kiraly, Hong Lei, Glenda Leòn, Yao Lu, Cristina Lucas, Armando Lulaj, Rubens Mano, Arno Rafael Minkkinen, Richard Mosse, Sohei Nishino, Glexis Novoa, Sherman Ong, Gabriel Orozco, Alain Paiement, Junebum Park, Paul Ramìrez Jonas, Vandy Rattana, Szymon Roginski, Ed Ruscha, Guillermo Santos, George Shaw, Gao Shiqiang, David Stephenson, Davide Tranchina, Carlos Uribe, Agnès Varda, Verne Dawson, Michael Wolf, Catherine Yass, Kang Yong-Suk, Du Zhenjun.

5 aprile – 31 agosto 2014

Mart
 – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Corso Bettini 43, Rovereto

Orari: Martedì – Domenica 10.00 – 18.00

Venerdì 10.00 – 21.00

Info: +39 0464 438887

info@mart.trento.it

www.mart.trento.it

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