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Intervista a GIULIANO GORI di Francesca De Filippi

Cosa c’è di più affascinante di nuove scoperte e rinnovati stupori? Cosa c’è di più illuminante che guardare avanti seguendo le tracce indelebili di un passato ricco di bellezza e conoscenza, che segna solchi percorribili nel presente secondo nuove prospettive e che si apre a “interminati spazi di là da quella”? Questi sono i quesiti e le intense emozioni che ho sentito dopo aver visitato Villa Celle ed aver incontrato il suo squisito ospite, che dagli anni ’70 ad oggi, coniuga i linguaggi dell’arte (scultura, architettura ambientale, arti visive, musica, poesia, teatro, letteratura) con un profondo rispetto per la storia e per il ruolo fondante del nostro delicato ecosistema: il collezionista Giuliano Gori, con cui ho avuto il piacere di una lunga e intensa chiacchierata.

Fattoria di celle, Porta Sonora, nella foto Giuliano Gori e l'artista Daniele Lombardi © Fattoria di Celle - Collezione Gori

Fattoria di celle, Porta Sonora, nella foto Giuliano Gori e l’artista Daniele Lombardi © Fattoria di Celle – Collezione Gori

Cosa l’ha portata a lasciare Prato, spostando la sua già ricca collezione ora divenuta imponente, e a scegliere proprio questo luogo, Villa Celle? Come ci è arrivato?
Qui sono arrivato dopo una ricerca molto intensa, partita nel 1961 e finita nel 1970. Tutto questo tempo è stato necessario a trovare un posto che fosse adatto ad accogliere la mia collezione e il progetto che avevo in mente. Villa Celle rispondeva a tutti i requisiti, anzi, ne aveva anche qualcuno in più. Ad esempio, questa grande tenuta, oltre alla casa padronale e ai cascinali, ha il pregio di ospitare alcune strutture di grande interesse storico culturale, come la Casina del the, la Cappella, la sala del Bowling di fine ‘800 e la storica Voliera. Certo, quando sono arrivato qui, avevo le idee molto chiare, ma in realtà c’era una cosa che non avevo previsto e che ho compreso solo quando ho preso contatto con questo enorme spazio. Mi sono reso conto che, partendo dalla mia collezione che a Prato era organizzata in uno spazio mirato, qui la grandezza delle opere e la portata dei progetti, aveva assunto una dimensione monumentale e questa consapevolezza ha messo in discussione quanto stessi facendo. Non mi sembrava infatti giusto dare vita ad un qualcosa di “museale”, per usufruirne da solo o con pochi altri. È nato quindi in me un conflitto interiore ma, dopo un periodo di riflessione, ho capito che questo luogo e le sue opere dovevano essere fruibili da tutti e a titolo assolutamente gratuito, perché non mi è mai interessato unire la ricerca multidisciplinare che qui si fa con l’interesse pecuniario. Mi è sembrata la scelta più ovvia, moralmente e umanamente. Certo, ad oggi, con una collezione di 80 opere, tra parco, Villa, Cascine, la gestione non è semplice. Ma i progetti vanno avanti, non si fermano, e questo fa un po’ parte dell’ineluttabilità del percorso intrapreso.

Cappella della Villa di Celle con Porta Sonora opera di Daniele Lombardi. Fattoria di Celle - Collezione Gori. Foto: Serge Domingie

Cappella della Villa di Celle con Porta Sonora opera di Daniele Lombardi. Fattoria di Celle – Collezione Gori. Foto: Serge Domingie

Lei invita personalmente gli artisti e successivamente si parte con i progetti. Ma come nascono veramente le opere? Si potrebbe paragonare il suo ruolo a quello del mecenate?
Non mi definirei un mecenate, anche perché ho la profonda convinzione che il “mecenate” non sia mai veramente esistito. Ma se teniamo conto del valore del termine e del ruolo storicamente ricoperto dai mecenati, è evidente che oggi quella figura sia stata totalmente annientata e sostituita con quella dello “sponsor”, che instaura esclusivamente rapporti di puro interesse economico. Onestamente quando ho iniziato l’esperienza qui a Villa Celle, iniziando ad invitare artisti da tutto il mondo, le confesso che ero convinto che nessuno avrebbe accettato. Invece quando li invitavo semplicemente a prendere visione del parco, per poi eventualmente iniziare una collaborazione, tutti accettavano e molto spesso rimanevano a lungo, pensi che c’è addirittura chi è rimasto a viverci per due anni. Così ho compreso come questa iniziativa potesse riattivare il rapporto perduto tra committente ed artista, ed effettivamente è proprio questo quello che definirei il punto chiave della Collezione Gori. Quindi, non mi piace definirmi un mecenate ma, invece, trovo estremamente interessante e utile questa rivalutazione del concetto di committenza, che si ritrova nel rapporto che nasce con l’artista. Infatti se scatta la cosiddetta “affinità elettiva”, se parte un feeling e un’idea prende forma, quasi come fosse un nuovo nascituro, allora così prendono vita le opere all’interno del Parco, da questo stretto legame umano e intellettuale tra me e l’artista. In fondo non siamo dei fenomeni, siamo persone semplici, comuni, però tutto ciò che si crea qui a Villa Celle si fonda sul rispetto per il lavoro che conduce all’opera e direi, soprattutto, per la natura che ci circonda, tant’è vero che qui nessuno, per qualsivoglia progetto, può tagliare un albero, cambiare una pendenza, mutare il paesaggio in alcun modo.

Hera Büyüktaşçıyan, Echo, © Fattoria di Celle - Collezione Gori 2016. Foto: Serge Domingie

Hera Büyüktaşçıyan, Echo, © Fattoria di Celle – Collezione Gori 2016. Foto: Serge Domingie

C’è un’opera o una storia legata ad un progetto o ad un rapporto con qualche artista, che è per lei particolarmente significativa?
Guardi, questa è una domanda assolutamente comprensibile, ma se devo essere onesto, le dico che noi qui abbiamo 80 opere, tra interni ed esterni, ed ognuna di esse potrebbe effettivamente diventare un romanzo. A tal proposito, infatti, siamo continuamente subissati dalle richieste di scrittori noti e case editrici, ma ciò che è anche vero è che tutte le storie che in questi lunghi anni hanno attraversato Villa Celle riguardano la delicatissima sfera del privato. Quando si vive per dei mesi insieme a qualcuno, fianco a fianco, poi parlarne con franchezza può far emergere aspetti umani troppo personali che sinceramente credo sia giusto che rimangano tali. Certo che sì, ogni opera ha la sua storia, alcune assolutamente bellissime ed, in effetti, potrebbe valere quasi più la storia che c’è dietro che non l’opera stessa, il percorso sommerso e invisibile che rende ancora più intenso il tutto. È davvero una cosa meravigliosa, a pensarci. Tornando ad un’esperienza significativa, direi che il progetto della Voliera rappresenta in qualche modo il simbolo di tutto il parco e di tutta la collezione, poiché storicamente è protagonista di una vicenda umana e artistica singolare, che ben si sposa con la nostra idea di fondo. Il progetto della Voliera, infatti, e la sua realizzazione, sono l’unica opera architettonica esistente di un noto poeta ottocentesco, Bartolomeo Sestini, che la realizzò esclusivamente per accontentare il padre, di mestiere Agrimensore, che aspirava ad un riscatto sociale attraverso il figlio. Nel 2002, l’artista Jean-Michel Folon ha realizzato per la struttura un progetto che mi sta molto a cuore e che è emblematico non solo della vicenda di Sestini, ma anche dello spirito che pervade la progettualità di tutto il parco: all’interno è stata piantata una fitta vegetazione e sono state aperte le finestrelle superiori, in modo che da gabbia chiusa, la voliera diventasse un luogo aperto in cui gli uccelli fossero liberi di entrare ed uscire a loro piacimento. Folon ha poi realizzato L’albero dai frutti d’oro, una fusione in bronzo posizionata al centro, che consta di sette rami sulla cui sommità sono disposti gli abbeveratoi e i dispenser per il cibo. Quindi mi sembra un ottimo esempio di arte ambientale e anche un modo per dare nuovo slancio alla storia nascosta dietro l’architettura.

Stefano Arienti, Residenza a Terrarossa, 2016. © Fattoria di Celle - Collezione Gori

Stefano Arienti, Residenza a Terrarossa, 2016. © Fattoria di Celle – Collezione Gori

Tirando un po’ le somme di tutto questo grande lavoro realizzato nel corso degli anni e ancora ricco di novità per il futuro, è evidente che ciò che lei ha creato sia una grande responsabilità e necessiti anche di una buona dose di coraggio!
Bè sì, questa la trovo un’affermazione appropriata. Infatti, ciò che rispondo puntualmente quando spesso mi si chiede come abbia iniziato a fare il collezionista è: “Ma perché non mi chiedete, invece, perché io continui a farlo?”.

Anselm Kiefer, veduta della seconda stanza di “Cette Obscure Clarté qui tombe des étoiles” (piombo,terracotta) 2009 © Fattoria di Celle - Collezione Gori, Foto Carlo Fei

Anselm Kiefer, veduta della seconda stanza di “Cette Obscure Clarté qui tombe des étoiles” (piombo,terracotta) 2009 © Fattoria di Celle – Collezione Gori, Foto Carlo Fei

La Fattoria di Celle – splendida tenuta situata in Toscana, a Santomato, a 5 km da Pistoia – ospita l’importante collezione d’arte ambientale che Giuliano Gori e la sua famiglia hanno costituito dai primi anni Ottanta ad oggi. La collezione permanente si estende per oltre 3000mq negli edifici storici e all’aperto in circa quarantacinque ettari, divisi tra il parco romantico e l’adiacente oliveto.
Dallo scorso autunno sono visibili le ultime opere permanenti della collezione: la Porta Sonora di Daniele Lombardi – un magnifico portale di bronzo, con le note scolpite dell’ultimo brano per violino della sua composizione Divina.com, collocato all’ingresso della Cappella della Villa di Celle – la Residenza a Cascina Terrarossa di Stefano Arienti ed Echo dell’artista turca Hera Büyüktaşçıyan.

Intervista tratta da Espoarte #96

Magdalena Abakanowicz, Katarsis, bronzo (1985) © Fattoria di Celle - Collezione Gori, Foto: Carlo Fei

Magdalena Abakanowicz, Katarsis, bronzo (1985) © Fattoria di Celle – Collezione Gori, Foto: Carlo Fei

Fattoria di Celle, Collezione Gori
Via Montalese 7, Santomato di Pistoia
www.goricoll.it

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