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ROMA | Galleria Edieuropa | 10 aprile – 19 maggio 2018

di JACOPO RICCIARDI

Ogni opera è un incontro che intorno a sé crea un’aura vuota di libertà. Vuota perché lo spettatore è un vivente che ricrea ad ogni rinnovato incontro quel vuoto che appunto non è un dato astratto o fisso ma liberato, mobile, che noi indaghiamo nel presente dell’opera.
Pur essendo Giuseppe Capitano uno scultore, e restando tale anche in questa mostra, qui le sculture ruotano intorno alla pittura, capace con la sua azione libera di ricodificare la scultura. Capitano si interessa alle potenzialità della superficie perché la canapa, che lui tratta da sempre come materia guida del suo lavoro, è per sua natura superficie, tradizionalmente lavorata in tessuti o fogli il cui bianco è naturale.

Veduta della mostra Giuseppe Capitano, Earth Heart's

Veduta della mostra Giuseppe Capitano, Earth’s Hearth, Galleria Edieuropa

I dipinti prima di rappresentare “sono”, e parlano con le loro cromie naturali, giallo del miele, il verde della clorofilla. Ma l’artista vuole presentare il proprio lavoro ricalcando il movimento della natura, così le linee di miele si assemblano in un ingranaggio scenico geometrico e la visione distingue piani e volumi, trovando una fisicità tangibile dietro la rappresentazione. Capitano riesce in questo processo perché parte dalla materialità naturale (canapa, miele, clorofilla) traslandola dal mondo tridimensionale a quello bidimensionale. La superficie non è per lui un terreno resistente ma duttile dove la natura tocca la natura e può sprofondare in una congiunzione genetica che apre una prospettiva mentale, uno spazio che non tradisce la natura dell’uomo ma che lo spinge anzi ad un salto in se stesso per ritornare in seguito al reale delle tre dimensioni liberato da un’evoluzione naturale attraverso la bidimensionalità. Forse il miele ha suggerito all’artista uno spazio astratto geometrico mentre pensava alla sua relazione con le arnie? Perché no, sarebbe mettersi all’ascolto della natura come un suggerimento. Così l’artista trova una libertà comportamentale, una dolcezza artigianale unita a una sperimentazione tanto audace quanto mai gratuita, perché radicata nell’attesa dei materiali naturali che circondano l’uomo.

Veduta della mostra Giuseppe Capitano, Earth's Hearth, Galleria Edieuropa

Veduta della mostra Giuseppe Capitano, Earth’s Hearth, Galleria Edieuropa

Certo la canapa ha per Capitano una valenza multiforme, può essere pelle, superficie rappresentante, limite e soglia, può farsi attraversare dal colore o trasmettere un’immagine o essere un immagine. Capitano ha trovato nella fibrosità dalle canapa un universo che si propaga e si rende vasto generando opere che formano un’unità non per vicinanza ma per lontananza, non come pianeti di un sistema solare, ma come i lontani soli di una galassia, che vuole e deve essere visitata. Queste sue opere così diverse l’una dall’altra sembrano essere poggiate direttamente sul mondo. Incontrarle ha quindi la caratteristica di un dono che porta in sé studio, indagine, esperienze, liberamente interconnesse tra loro. Capitano ha superato l’opera che guarda univocamente lo spettatore; ogni sua opera invece fissa lo spazio, il mondo, intorno a sé, essendone il cuore, e lo spettatore, il viaggiatore, la guarda guardare altro e segue i suoi sguardi, in una libertà temporale che è conseguenza dell’istinto del vivente che cerca.

Veduta della mostra Giuseppe Capitano, Earth's Hearth, Galleria Edieuropa

Veduta della mostra Giuseppe Capitano, Earth’s Hearth, Galleria Edieuropa

Ci si muove in una selva di vuoto naturale nei suoi altri dipinti, tra idee di piante o alghe, attraversamenti naturali, in composizione e dispersione tra loro, come se fossimo entrati nelle fibre dalla canapa, di quella canapa che protegge i lati dell’isola tronco, che mostra i cerchi del legno come disegni autonomi naturali di un’isola nella mente; oppure la canapa tinta di rosso cupo nella forma allungata di una goccia ingrandita che si muove nello spazio, si stacca da uno spazio per entrare in un altro, o che viaggia da uno spazio all’altro, da un tempo all’altro; oppure ancora la canapa chiusa intorno a due parallelepipedi, uno in piedi e uno sdraiato, segno di uno spazio elementare che si può raggiungere solo penetrando nella peluria fitta e dolce della canapa; oppure la canapa messa su un supporto di vimini che si torce e si fa guidare sulla superficie fino a mostrarsi in un paesaggio di se stessa, divergente, convergente; oppure su una rete metallica la canapa emerge in una spirale appiattita che lascia scorgere chiaramente il supporto metallico vicino al centro, tanto rigido, industriale, quanto duttile e morbida risulta la curva della spirale che punta al suo centro uscendo delicatamente dalla parete verso l’interno della stanza, trasformando la dura tessitura del supporto nella suadenza di un vortice che ci guarda.

E il carboncino delle due palme, in un paesaggio scuro cui una luce accecante dalle loro spalle penetra fino a noi osservatori, ha la stessa delicatezza e perentorietà della natura reale che vedremmo intorno a noi in una foresta, ma che scorgiamo reale proprio lì nel nero delle sagome oscure dell’immagine.
Capitano ci fa poggiare il piede nel vuoto liberato della Terra, che tutte le sue opere richiamano per forza delle loro distanze che si riuniscono continuamente in mille nuove vie che si intrecciano nel cuore che le percorre.

 

Giuseppe Capitano. Earth’s Hearth
da un’idea di Lea Mattarella

1o aprile – 19 maggio 2018

Edieuropa arte contemporanea
Piazza Cenci 56, Roma

Info: +39 06 6880 5795 / +39 06 64760172
edieuropa@tiscali.it
www.galleriaedieuropa.it

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