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Il paesaggio, la natura e gli animali da sempre sono oggetto della ricerca di Dominique Laugé: Sainte Victoire, Sicily, Bestiario.
Il Soffio e la Polvere, il nuovo progetto realizzato per Sabrina Raffaghello Arte Contemporanea di Alessandria si ricollega all’ambito della sua ricerca artistica lasciandosi guidare a partire dal significato stesso di “animale” e la sua contiguità con la parola “anima”. La riflessione dell’artista arriva ad investire, quindi, la natura stessa dell’essere umano in riferimento al medesimo destino che lo accomuna all’animale, senza pregiudizi di superiorità. Gli scatti di quest’ultima serie infatti rappresentano una riflessione sulla vanitas, sulla caducità come elemento della vita. Quando la morte tocca da vicino e quando contemporaneamente l’osservare il circostante è fenomeno di estrema bellezza. Così la ricerca dell’artista è il risultato di una scoperta, e della sublime capacità di lasciarsi stupire. In fondo i Musei – come quello di Storia Naturale di Gaillac e quello di Alessandria, uniti in questo progetto – non sono forse nati come luoghi di meraviglia?

Francesca Di Giorgio: Il paesaggio, la natura e gli animali sono stati oggetto delle sue ultime serie fotografiche. Ne Il Soffio e la Polvere ritorna l’attenzione per il mondo animale, apparentemente, in un’accezione diversa…
Dominique Laugé: rispetto al mio precedente lavoro sugli animali presentato nel Bestiario, la serie Il soffio e la polvere potrebbe sembrare molto diversa, a partire dal semplice fatto che gli uni erano vivi e gli altri morti. Se si considera però il termine “animale” nel suo antico senso latino: esseri animati, creature che hanno un’anima che li anima, le due serie si riuniscono nello stesso tentativo di rappresentazione. La differenza sta nel momento della ripresa, ma lo spirito di meraviglia davanti alla bellezza e complessità della vita non cambia. Credo veramente che “Il soffio” perduri nella forma che prende “la polvere” dei resti conservati nei musei.
Se negli zoo dove cercavo gli animali del Bestiario non ho trovato uomini ingabbiati, ma forse un’evocazione della loro condizione, quello che Ecclesiaste predica nella Bibbia, in un certo senso, avviene nei musei di storia naturale. «Infatti, la sorte dei figli degli uomini è la sorte delle bestie; agli uni e alle altre tocca la stessa sorte; come muore l’uno, così muore l’altra; hanno tutti un medesimo soffio, e l’uomo non ha superiorità di sorta sulla bestia; poiché tutto è vanità. Tutti vanno in un medesimo luogo; tutti vengono dalla polvere, e tutti ritornano alla polvere» (Qo. 3/ 19-20)
L’uomo, nei musei, reintegra il mondo animale. Il suo scheletro è presentato accanto allo scheletro della scimmia e le orbite vuote di “Homo sapiens” assomigliano terribilmente a quelle di “Papio cinocephalus” il babbuino giallo. È interessante ricordarsi la frase di Teilhard de Chardin «L’uomo non più un essere che sa, ma un essere che sa che sa».

Bones e Bugs. Ossa umane e insetti…
Con questa idea in mente ho ripreso crani e ossa di diverse specie, insetti così piccoli che bastava un respiro per spostarli, uccelli e mammiferi naturalizzati, rettili nella formaldeide e finalmente resti della mia stessa specie. Manipolandoli ho capito che l’ossessione scientifica della spiegazione ha tanti punti in comune con l’ossessione artistica della rappresentazione, uno di quelli, e certo non il meno importante, è l’urgente bisogno di distrarsi dal pensiero della nostra fine.

Le sue fotografie si confrontano con la lunga tradizione pittorica e fotografica dello still life. Quali sono i suoi riferimenti nella storia dell’arte e, allo stesso tempo, come sono filtrati dal suo obiettivo e come se ne distacca?
All’inizio del 2007 ho cominciato una nuova ricerca sulla natura morta. Mi sembrava importante riflettere in immagine su cosa poteva essere una natura morta moderna. Osservando e ispirandomi ai grandi maestri, Jean Siméon Chardin, Jean Etienne Liotard, Jacopo Chimenti, Sebastien Stoskopff o Francisco de Zurbaran ho cominciato un lento percorso di studio e sperimentazione. È alla fine del 2008, forse perché la morte mi aveva colpito molto vicino, che mi sono interessato più particolarmente al genere della Vanitas, interessandomi a pittori come Valdes Leal, Philippe de Champaigne o Antonio de Pereda.
Nel campo della fotografia Man Ray, Edward Weston e Irving Penn sono anche stati dei riferimenti importanti. Da tutti ho preso il gusto per la composizione e l’uso della luce come mezzo squisito d’espressione.
È difficile per me parlare di distacco dai miei riferimenti. Ovviamente il tempo e i mezzi tecnici così diversi creano distanza, ma è per me fondamentale l’incessante dialogo tra le mie immagini, le immagini del passato e il mondo attuale.

Quando ha iniziato a fotografare? Qual è stata la sua formazione?

Mi sono avvicinato alla fotografia quando avevo quindici anni. Ho frequentato la Facoltà di Letteratura di Bordeaux. Tra il 1982 e il 1984 ho frequentato il Brooks Institute of Photography a Santa Barbara, California. Lì ho imparato il Zone System con Bob Werling e lavorato brevemente con Ansel Adams.

Il progetto unisce idealmente due sedi geograficamente distanti: il Museo di Storia Naturale di Gaillac in Francia e quello italiano di Alessandria. Com’è nata l’idea del progetto?

Ho vissuto quasi 20 anni a Milano e ho legami molto forti con l’Italia. Il progetto è nato con il mio desiderio di trovare dei crani umani per realizzare delle vanitas. Vivo ormai a Gaillac e  ho chiesto al conservatore del Museo di Storia Naturale se mi poteva aiutare. La sua risposta è stata positiva ma dovevo cercarli nelle riserve. Mi sono ritrovato quindi in una stanza cieca, ad aprire molte scatole il cui contenuto mi ha immediatamente attratto. Ossa di animali annotate con splendide scritture appena sbiadite, collezioni di denti e artigli mescolati, strane creature conservate in antichi boccali, vertebre infilate su spago come grandi collane. Vecchie scatole vetrate piene di farfalle meravigliose, aspettavano di essere restaurate. Insetti minuscoli, descritti su etichette cosi piccole da essere difficilmente leggibili, formavano file inquietanti. Avevo sotto gli occhi la natura. Una natura morta, preservata e catalogata con estrema cura. Ho cominciato a fotografare e ho fatto vedere alcune immagini a Sabrina Raffaghello, spiegandole anche il desiderio di prolungare la mia ricerca nei musei di Alessandria e Torino che sono ricchi di bellissimi reperti e dove potevo trovare esemplari che mi mancavano. L’idea di una collaborazione sì è imposta molto rapidamente.

In un museo di storia naturale gli oggetti conservati rispettano un criterio dato dalle esigenze documentarie, di studio e catalogazione scientifica. Com’è si è inserito in questo equilibrio? È nato un nuovo ordine?
Quando sono arrivato nelle riserve del museo di Gaillac ho sentito subito il bisogno di fotografare questi oggetti, di dar loro un altro ordine, non più scientifico ma totalmente legato alla rappresentazione. Era per me un modo di rendere omaggio alle meraviglie della natura ma anche di esprimere il mio profondo fascino per la scienza e l’indagine senza fine che essa svolge sul nostro mondo. Lavorando, immagine dopo immagine, si rafforzava una mia sensazione iniziale. Le annotazioni scientifiche prendevano, per me, quasi lo stesso peso del celebre: “Ceci n’est pas une pipe” de René Magritte. Le farfalle, nonostante il fatto che erano morte da anni e infilzate su aghi in stretti ranghi, mostravano ancora dei magnifici colori ed erano di un’eleganza tale da togliere il fiato, dandomi così la possibilità di esaltare la loro bellezza. Il cranio di una scimmia urlatrice, grazie alla forza emotiva delle sue enormi orbite vuote, mi forniva l’occasione di evocare il nostro profondo legame con il mondo animale.
È stato molto facile per me entrare nel mondo dei musei. Credo che i ricercatori, i conservatori (io stesso) siano accomunati dal medesimo senso di meraviglia e curiosità davanti alla natura. Il mio modo di “catalogare e preservare” non ha esigenze scientifiche, ma obbedisce ad un ordine legato alla forma e alla lettura della forma. In questo caso l’ordine scientifico e l’ordine artistico non si ostacolano ma si rafforzano.

L’estrema cura dell’esito finale dei suoi lavori, con la scelta di supporti fotografici molto ricercati, caratterizza tutto il suo lavoro. In mostra sarà presentato anche il libro Le Souffle et la Poussière. Un libro d’artista ad edizione limitata e stampato sull’esclusiva carta cotone a mano della cartiera artigianale Aetna. A cosa si ispira?

Ho sempre pensato che la fotografia abbia bisogno di materialità. Per me una foto è un vero oggetto. Tutte le mie immagini sono stampate su carta fatta a mano con pigmenti giclés. La raccolta di tante immagini in un volume permette di comporre frasi visive. Il ritmo del passaggio da una foto all’altra ne aumenta il senso e la forza. Permette anche di abbinare testo e immagini senza dover integrare la grafica nell’immagine stessa. Ho sempre sognato davanti ai libri d’artista fatti da Braque con Saint John Perse. Ormai le nuove tecniche digitali permettono ai fotografi di esplorare questo filone.
Per questa serie Franco Conti della cartiera Aetna ha fatto una carta estremamente precisa, che mi ha permesso toni e passaggi estremamente delicati. Si tratta sempre di produrre un oggetto rispettoso della bellezza delle creature su di esso impresse.

La mostra in breve:
Dominique Laugé. Il Soffio e la Polvere
a cura di Hèléne Prigent
Sabrina Raffaghello Arte Contemporanea
Antico Spedal Grande Chiesa SS. Antonio e Biagio
via Treviso 17, Alessandria
Info: +39 0131 240375 – + 39 348 9963185
www.sabrinaraffaghello.com
Dal 12 giugno 2010
Inaugurazione sabato 12 giugno 2010 ore 18.00

In alto da sinistra:
> Mandrillus sphinx, 2009, stampa a colori su carta cotone a mano, ed 1/3. Courtesy Sabrina Raffaghello Arte Contemporanea, Alessandria
> Hierophis viriflavus, 2009, stampa a colori su carta cotone a mano, ed 1/3. Courtesy Sabrina Raffaghello Arte Contemporanea, Alessandria
> Morpho agca, 2009, stampa a colori su carta cotone a mano, ed1 /3 . Courtesy Sabrina Raffaghello Arte Contemporanea, Alessandria

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