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Ogni immagine racchiude dentro di sé una carica infinita di ambiguità e mistero, di possibilità e di storie. Sempre oscillante come segno tra l’essere documento visibile e scheletro di una realtà immaginaria, invisibile, l’immagine ci parla, incantevole come una droga e pericolosa come un veleno (pharmakon). Negli spazi di Uscita Pistoia due giovani artisti internazionali si confrontano sul ruolo dell’immagine intesa come traccia visibile di un qualcosa che in realtà la trascende. I lavori di Diego Marcon e Mariana Silva abbattono il confine tra realtà e immaginazione, chiamando lo spettatore ad una nuova lettura dell’opera che va oltre l’immediatezza estetica dell’immagine. Abbiamo parlato del progetto con la curatrice Barbara Meneghel…

Rosa Carnevale: ll titolo della mostra, Plato’s Pharmacy, richiama un celebre testo di Jacques Derrida. Nella visione di Derrida la scrittura si pone contemporaneamente come tradimento della presenza e come traccia mnestica della presenza. In questa mostra tu hai accostato questo concetto alla funzione dell’immagine vista come ponte tra visibile e invisibile. Ci racconti la genesi di questa riflessione?
Barbara Meneghel: Al di là del riferimento a questo saggio in particolare, che parte da un’analisi del Fedro platonico, ciò che mi interessava porre all’origine del progetto era la nozione derridiana di “traccia”. Un concetto cardine del pensiero del filosofo francese, che nel caso de La pharmacie specifica nella questione del rapporto tra oralità e scrittura, ma che più in generale chiama in causa lo scarto (la differenza, se vogliamo mantenere la terminologia derridiana) tra la presenza concreta, visibile e tangibile, di un segno quell’al di là di senso puro che questo sintomo rappresenta. Tra le due dimensioni c’è un rapporto di supplenza, di sostituzione, di mediazione tra un’assenza e la sua presenza visibile, che è esattamente lo stesso all’origine delle immagini. Il concetto di pharmakos, fin dalle sue origini nella Grecia classica (era il capro espiatorio, sacrificato per allontanare il male dalla città) ha avuto questo significato di ponte ambivalente tra interno ed esterno, tra bene e male, tra presenza e assenza. Esattamente come quello di traccia derridiana. Ciò su cui ho invitato gli artisti a riflettere, quindi, è l’immagine come possibile medium che veicola il fruitore verso qualcosa di altro rispetto all’immagine stessa.

Negli spazi di Uscita Pistoia hai invitato a dialogare due giovani artisti, Diego Marcon e Mariana Silva. Due approcci differenti ma in qualche modo complementari, due diverse modalità di interpretare l’immagine. Per questa mostra Diego Marcon interroga un oggetto-immagine come la cartolina per ricostruire nel suo video un immaginario nascosto. Ci parli del suo lavoro?
L
’elemento-cartolina, a cui Diego stava già pensando e su cui poi ha lavorato per il video, sembrava fatto apposta per rispondere agli interrogativi che mi stavo ponendo da un po’, e alle premesse teoriche cui ho accennato prima. Per questo, il suo lavoro ha preso forma e si è sviluppato in maniera molto naturale parallelamente al progetto che avevo in mente, nutrendosi anche di lunghe chiacchierate sull’argomento. A ben guardare, la cartolina (un oggetto ormai in via di estinzione, ovviamente sostituito dai numerosi altri canali di comunicazione che abbiamo oggi a disposizione), rappresenta una forma di icona, laddove per icona si intende – di nuovo – l’espressione in forma di immagine di qualcosa di altro, di eccedente. Il video ci racconta proprio di questo dialogo tra presenza e assenza di un immaginario vacanziero immortalato in una fotografia a produzione industriale, guidando lo spettatore in un percorso audiovisivo sulla nascita dell’oggetto e del suo senso. Un percorso che porta anche a riflettere sullo spostamento dal piano collettivo-popolare a quello singolo e solitario di una fotografia cristallizzata.

L’artista portoghese Mariana Silva dedica invece il suo lavoro alla figura della fotografa americana Lee Miller. Come interagisce la sua opera col progetto della mostra?

Il lavoro di Mariana – un’installazione audio – prende le mosse da un’immagine. Un’immagine che rimanda a qualcosa d’altro, che ci sollecita riflessioni su significati diversi. Il lavoro di questa giovane artista, presentato per la prima volta in Italia, si concentra sul percorso di ricerca che porta al lavoro, quasi più che sul suo prodotto finale. Ciò che viene messo in luce è la riflessione, il procedimento che porta ad un risultato.

In questo caso, la sua analisi verte su quello che sta dietro a una determinata fotografia che ritrae Lee Miller, su ciò che il fatto stesso di averla scattata comporta da un punto di vista teorico. Una sorta di backstage dell’immagine che si è trovato perfettamente in dialogo con il retroscena teorico della cartolina nel progetto di Diego.

La mostra Plato’s Pharmacy richiede allo spettatore un certo tipo di sguardo e di attenzione. Come di fronte a un testo, si è chiamati a una vera e propria lettura che va anche oltre l’immediatezza dell’immagine. Come definiresti questa visione attiva a cui è invitato il pubblico?

Questo è un discorso valido per parecchie tipologie di mostra, ma è anche vero che nel caso di questi due progetti è richiesto un doppio registro di riflessione. Da un lato c’è la fruizione immediata delle opere (anche, naturalmente, a livello puramente estetico); dall’altro, una meta-riflessione – o, se vogliamo, una riflessione più interna al lavoro – in cui si invita lo spettatore ad analizzare le immagini proposte dagli artisti secondo la “loro” chiave di lettura, e secondo la “mia” indicazione generale. Ferma restando la possibilità – anzi, l’augurio – di suscitare nuove riflessioni, uguali o contrarie a quelle suggerite dal nostro progetto.

Viviamo nella società dell’immaginazione lacerata e dell’abuso delle immagini. Credi che si possa ancora avere fiducia nella potenza delle immagini come veicolo di un racconto nuovo, genuino e non solo come pericolosi simulacri?
Se ti riferisci all’immagine mediatica, quella trasmessa ogni giorno dai canali di comunicazione globale, la situazione attuale è sicuramente pericolosa, compromessa da poste in gioco spesso inconciliabili con la verità pura dei fatti. Ma forse, banalmente, proprio l’arte può ancora offrire una valida alternativa in questo senso. Per chi lavora in questo settore, ma non soltanto, la potenza delle miriadi di immagini artistiche con cui quotidianamente si entra in contatto può e deve offrire ancora uno stimolo a riflessioni originali e, soprattutto, critiche.

La mostra in breve:
Diego Marcon / Mariana Silva. Plato’s Pharmacy
a cura di Barbara Meneghel
Uscita Pistoia
Via Modenese 165, Pistoia
Info: +39 0573 977354
www.uscitapistoia.it
25 giugno – 30 settembre 2010
Inaugurazione:
Venerdì 25 giugno 20.30 – 24.00
Sabato 26 giugno 12.00 – 20.00

In alto da sinistra:
Diego Marcon, salut! hallo! hello!, 2010, video, MiniDV, colore / suono, 22′ 45”
Veduta dello spazio esterno di Uscita Pistoia

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