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ASTI | Fondazione Piras | 11 ottobre – 30 novembre 2014

Intervista a PAOLO CAMPIGLIO di Matteo Galbiati 

In occasione della mostra Dadamaino 1930-2004, presentata ad Asti presso la Fondazione Piras – Fondo Giov-Anna Piras, in cui si traccia un ampio riassunto della storia artistica di Dadamaino (Eduarda Maino 1930-2004) attraverso i principali cicli delle sue opere, abbiamo intervistato Paolo Campiglio, curatore dell’esposizione, che ci ha guidato nella lettura di questa grande retrospettiva dedicata all’artista milanese.

Dieci anni fa moriva Eduarda Maino conosciuta da tutti come Dadamaino, cosa resta della sua eredità? Che impronta ha lasciato?
Credo che più di tutto la sua eredità si traduca nel senso di un “fare”, di  una applicazione costante all’opera come universo chiuso in sé, ma in grado di porsi sempre come trama di relazioni e di rapporti con il mondo intorno. Dadamaino ha saputo demandare alle opere prima di tutto, ai lavori, il compito di creare delle relazioni anche a lunga distanza, nel tempo e nello spazio, nel mondo, tra artista e pubblico, tra artista e gli altri compagni di strada, tra artista e critica. 

Dadamaino, Cromorilievo, 1974, tasselli di legno su tavola verniciati, 50x50 cm Courtesy Archivio Dadamaino

Dadamaino, nonostante i legami con molti artisti della sua generazione, ha vissuto momenti di grande solitudine e di ritirato isolamento dal contesto culturale ed artistico, senza rinunciare mai al suo lavoro. Che giudizio dai della sua “riscoperta” tardiva da parte di un certo sistema dell’arte?
La sua ricoperta lascia francamente un po’ disorientati. Nel 2006, quando, a due anni dalla sua scomparsa, io ero riuscito a far passare una mostra retrospettiva dell’artista nella programmazione di un ente pubblico, l’assessore di turno mi aveva convocato dopo alcuni mesi dicendo che i soldi stanziati erano stati usati per altre attività e che non c’era più niente da fare. Oggi per fortuna i tempi sono cambiati e il nome dell’artista inizia ad essere conosciuto anche a livello internazionale. Fa effetto vedere che molti galleristi che non la conoscevano o che, a parte poche eccezioni, negli ultimi decenni di vita l’hanno completamente lasciata sola, oggi cercano i suoi lavori e se li contendono. Fa effetto, inoltre, che il mercato abbia scelto una sola dalle molte serie di lavori prodotte dall’artista (parlo dei noti Volumi) e trascuri ancora tutto il resto della sua produzione, che ad ogni approfondimento si rivela molto varia e dalle molteplici sfaccettature. Infine, entro il sistema dell’arte il fatto che Dadamaino sia una donna artista e abbia dovuto combattere contro molti pregiudizi ha contribuito a rafforzarne il mito.

Questa mostra cerca di restituire un primo importante contributo al suo lavoro, come l’avete pensata, strutturata e realizzata? Quali sono i contenuti specifici che si vogliono mettere in evidenza?
Questa mostra è stata progettata alcuni anni fa, ma prodotta solo oggi, grazie all’appoggio indispensabile della Fondazione Piras. L’idea è quella di una retrospettiva che ponga in luce le singole “serie” e focalizzi l’attenzione su opere emblematiche in dialogo con lo spazio, data la possibilità di usufruire di spazi ampi e luminosi. La luce e lo spazio sono, infatti ingredienti fondamentali per il lavoro di Dadamaino. Quindi è stata indispensabile la ricostruzione delle installazioni della Biennale di Venezia del 1980 (con la serie I fatti della vita) e quella del 1990 (con Il movimento delle cose) con opere di 30 metri di lunghezza, altrimenti difficilmente fruibili. L’intera serie della Ricerca del colore, costituita da 100 pezzi di dimensioni 20×20 cm, ha contribuito alla valorizzazione di questo progetto, leggibile sempre parzialmente e mai nella sua interezza. Ne emergono prospettive nuove. Ad esempio, le lettere dell’alfabeto inventato che fanno parte dei Fatti della vita, ripetute ossessivamente, ma alcune in dimensioni maggiori entro lo stesso spartito, a distanze calcolate, rivelano ancora tracce dell’esperienza percettiva. Il Movimento delle cose dispiegato su 30 metri sembra muovere nell’aria e nella luce i suoi piccoli tratti, espandendosi magicamente nello spazio circostante: entrando letteralmente col nostro corpo nelle pieghe di quel lungo “film” ci si accorge che i singoli elementi seguono ancora un andamento “programmato”, nonostante l’effetto sia del tutto casuale, quasi da superficie marina. E così, nella Ricerca del colore, poter fruire, in un solo colpo d’occhio, delle 4000 variazioni possibili di tonalità dei colori fondamentali più il bianco il nero e il marrone, rende vana ogni naturale esperienza di accostamento cromatico, abbastanza intuitiva in ognuno di noi, e rivela una trama di rapporti assolutamente inediti.

Dadamaino, I fatti della vita, ricostruzione della sala alla Biennale di Venezia 1980, installazione al Fondo Piras 2014 Courtesy Fondo Piras e Archivio Dadamaino

Quali sono le caratteristiche, individuali e determinanti, del linguaggio di Dadamaino? Attraverso quali fasi ha maturato queste riflessioni?
È proprio vero che Dadamaino, più di Manzoni, sembra porsi sulla scia di Fontana, nel senso che il suo è un lavoro, alla base, di testimonianza di un “esserci”, nel tempo e nello spazio, ma al tempo stesso di allusione concreta a un tempo e ad uno spazio infiniti. Determinante è inoltre, a differenza del maestro, la sua attenzione “sociale”, il rapporto quasi didattico che attraverso l’opera ella vuole instaurare con il pubblico e i collezionisti. Curioso, infatti è stato scoprire dietro agli Oggetti cinetici, tipicamente programmati, le “istruzioni per l’uso” per collezionisti ignari scritte di pugno dell’artista, quasi non bastasse il semplice coinvolgimento percettivo, ma si rivelasse determinante una interazione vera con l’opera, come rito quotidiano. Tutto questo presuppone una fede che l’arte sia in grado di cambiare le abitudini non solo percettive di ognuno di noi, ma i comportamenti, le reazioni psicologiche, le abitudini, i vizi.

In mostra ci sono un’ottantina di opere: come si suddividono in questi diversi momenti della sua ricerca?
Le serie iniziano dai Volumi (anche se c’è una preistoria di Dadamaino prima del 1959 molto interessante, su cui è valsa la pena lavorare in fase di catalogo) le note tele “aperte”, più che “bucate”, passando ai Moduli sfasati del 1960, quelli fustellati su rhodoid e montati su tele multiple, fino agli Oggetti cinetici programmati, realizzati dal 1963, passando attraverso quelli non programmati come i Componibili, lasciati comporre a ognuno di noi (dal 1965) e per finire alla Ricerca del colore (1968-70) e i fluorescenti, dello stesso periodo. La mostra include una serie di ricerche degli anni Settanta inedite come la Morfologia cromatica, una variante della ricerca del colore, e i Cromorilievi, più noti (1975). La mostra segue poi le altre serie dal 1976 ad oggi, con i Fatti della vita, basate sugli alfabeti inventati, e sul ritorno al segno nell’Inconscio razionale, nelle Costellazioni e nel Movimento delle cose, fino agli ultimi lavori che l’artista chiamava Sein und zeit, con una citazione heidegherriana.

Dadamaino, Volume, 1960, idropittura su tela, 120x200 cm, Collezione privata Courtesy Fondo Piras e Archivio Dadamaino

Durante la presentazione della mostra presso la sede di Sotheby’s a Milano avete richiamato l’attenzione su alcuni inediti che sono stati individuati ed esposti in anteprima assoluta? Di che opere si tratta e come sono state ritrovate?
I disegni degli anni Settanta, soprattutto, e i bozzetti per gli ambienti progettati per un concorso parigino nel 1969: si tratta di 20 opere ambientali mai realizzate, ma che da sole rilevano una progettazione ambientale assolutamente inedita in cui lo spettatore era di volta in volta posto in difficoltà psicologica e sollecitato a reagire.

Un’attenzione peculiare è stata dedicata anche al catalogo che accompagna la mostra. Quali sono i suoi contributi decisivi?
Il contributo di Cristina Celario, che riguarda l’apparato biografico, costituisce una nuova base su cui lavorare. È stato condotto attraverso uno spoglio sistematico dell’archivio ed ha posto in luce le date effettive delle differenti “serie”, oltre a una chiara delucidazione sul cosiddetto impegno “politico” dell’artista tra fine Sessanta e inizi Settanta. 

La mostra andrà poi a Londra da Sotheby’s. Sono previste variazioni, cambiamenti e integrazioni rispetto al progetto presentato alla Fondazione Piras?
Quella da Sotheby’s a Londra è una scarna selezione di lavori. Nessuna integrazione, ma una sorta di riassunto in breve dell’esposizione di Asti. 

Dadamaino 1930-2004
a cura di Paolo Campiglio
catalogo con testi di Flaminio Gualdoni, Paolo Campiglio
apparati a cura di Cristina Celario
in collaborazione con Archivio Dadamaino, Sotheby’s 

11 ottobre – 30 novembre 2014 

Fondazione Piras – Fondo Giov-Anna Piras
via Brofferio 80, Asti 

Orari: da lunedì a sabato 10.00-12.30 e 15.30-19.00; domenica chiuso
Ingresso libero 

e

Sotheby’s
S|2, 31 St George Street, Londra (Inghilterra) 

20 novembre 2014 – 16 gennaio 2015 

Info: +39 0141 352111
info@fondopiras.com
www.fondazionegiovannapiras.com

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