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galleria D406
Modena

Stefano Ricci. Come guidare la macchina cieca (di Viviana Siviero)

Il Festival di Filosofia – Modena, Carpi, Sassuolo – è un appuntamento che ormai significa molto di più di ciò che accenna il titolo: è un incontro con la cultura contemporanea attraverso il territorio, oltre che col tema principale anche con le arti visive, grazie soprattutto all’impegno dell’avanguardistica galleria D406 di Modena. Quest’anno, la mostra personale che accompagna il festival, con i tradizionali annessi e connessi, è stata affidata a Stefano Ricci, maestro inconfondibile ed inconfutabile, con cui la galleria inaugurò la sua attività nel 2002. Una mostra dal titolo bizzarro Come guidare una macchina cieca, costituita da due anime, che si discostano, caratterizzandosi, per tecnica espressiva e modalità linguistica. Da una parte un ciclo di 12 grandi disegni dedicati alla fortuna, tema del festival, dall’altra un contrappunto costituito da 101 video, proiettati in camera oscura e montati con suoni e musiche originali dell’artista. Una produzione, quest’ultima, distante dall’usuale tecnica grafica del maestro, ma ad essa congeniale, raccontata in un volume con allegato dvd, che sarà reperibile in galleria insieme ad un altro oggetto del desiderio, il recente libro di Stefano Ricci Humus Vertebra edito da Logos e D406…


Viviana Siviero: Com’è guidare una macchina cieca? Ci presenti il tuo nuovo progetto realizzato per il Festival di Filosofia 2010, un avvenimento ogni anno più succoso, che coinvolge ogni volta artisti capaci di rapire lo sguardo… come sei stato coinvolto e come ti sei approcciato alla cosa?
Stefano Ricci:
Non so se sono capace di dire com’è guidare la macchina cieca, ma provo a raccontarti una cosa. Ho un cane che ha dieci anni e da tre settimane ho un’altro cane che ha due mesi, sono due femmine. Due ore fa siamo andati nella strada di pietre qui dietro, è una strada antica che attraversa i campi, ci sono dei dossi, piccole colline poi taglia una radura molto grande, entra nella palude che è una foresta e finisce nel fiume.
Il cagnolino era molto incuriosito, correva, poi si è girato e si è tuffato nell’acqua della palude che era verde in superficie come muschio e credo che lei non abbia capito che era acqua, ma ha nuotato per un po’ per la prima volta e poi l’ho presa a riva pescandola per la pelle del collo. Ecco, questo forse è come guidare la macchina cieca: tuffarsi in qualcosa che non sai nemmeno se è acqua. La macchina cieca è per me l’atto creativo, per come sono capace di viverlo. Io non so nuotare, non sono capace, ma mi piace tuffarmi.

Dodici disegni inediti, appositamente realizzati, grandi lavori in un insolito formato circolare, sul tema della fortuna… un “soggetto” non facile che rischia il retorico: ci descrivi le tue scelte in merito tematico e ci dici cos’è per te la fortuna?
Andrea (Losavio) mi ha invitato e io ho detto subito di sì. Ho cercato delle cose, in biblioteca e in libreria, sull’iconografia della fortuna, ma ho trovato solo un libro per me comunque molto buono, di Adriano Prosperi, Giustizia bendata; è un saggio sull’iconografia della giustizia, che ha radici comuni alla fortuna, e qui si individuano nel racconto di Gesù bendato e deriso. Ho trovato un’incisione della fortuna che si muove bendata verso di noi, camminando su una sfera grande, il caos, che è per me benzina specialissima della macchina cieca. Ho cercato di prendere alcuni di questi pezzi e portarli nell’atto del disegno di cose che mi riguardano e che conosco intimamente. Non so dirti cos’è per me la fortuna, ma ti racconto una cosa. Cinque anni fa vivevo ad Amburgo e ho conosciuto un neurochirurgo che tutti i giorni fa operazioni al cervello. Una sera ci siamo visti nel mio studio e, parlando, gli ho chiesto se aveva con sé il bisturi e se poteva mostrarmelo; lo ha preso da una bustina di pelle nera lucida nella tasca dell’impermeabile e ha aperto con una mano sola il sacchetto sterilizzato, io avevo appena finito di disegnare, e avevo ancora la matita in mano, bisturi e matita li tenevamo nello stesso identico modo, e per un momento ho pensato a noi due durante il giorno che era quasi finito, facendo quello che avevamo cercato di fare. Credo di poter dire che io lavoro sugli errori, ma ci sono anche dei giorni o dei momenti, che hanno una natura completamente diversa, così gli ho chiesto se anche lui sentiva di avere un giorno fortunato e se poteva descrivermi com’era. Mi ha detto che lo si capisce dal mattino. Operando, guarda le dita della sua mano e il bisturi come se guardasse la mano di un’altra persona, la guarda che si muove, e fa semplicemente quello che deve fare, da sola e senza nessun problema!

A completare la mostra 101 cortometraggi in presa diretta, definiti “legna da ardere” dall’artista Anke Feuchtenberger, per una durata complessiva di 2 ore: un lavoro lontano dal disegno che ti ha reso celebre, ma ad esso propedeutico: in che senso?
Ho cominciato a fare questi filmini esattamente da un anno, perché mi serve e mi piace farli. Uso una macchinetta fotografica e un recorder MP3 per il suono, che sta proprio ben infilato nella custodia di pelle della macchinetta. Porto sempre con me una pila da tasca per quando c’è poca luce, e un microfono se il suono è un po’ lontano. Faccio questi filmini quando non disegno, la mattina presto, la sera e in viaggio. Ho cominciato a farli per prendere alcuni movimenti di persone e animali, da usare nei filmini in animazione che disegno da un paio di anni, poi questa pratica mi ha preso un po’ la mano, è diventato una specie di diario, che mi serve per concentrarmi e cercare di riconoscere e prendere le cose che vedo. È solo un anno che faccio questi filmini e non ho ancora la distanza che credo servirebbe per poterne parlare: la macchinetta sta in mano circa come la matita, devo solo concentrarmi su quello che vedo, ci sono così tante cose, e ho cominciato a disegnare alcune di queste cose che ho filmato, così ho trovato le chiavi della pasticceria ma, mi dispiace, per me adesso è un po’ presto per parlarne.

In occasione della mostra, verrà presentato il tuo nuovo libro edito da D406 e Logos. Quali affinità, e differenze, ci sono fra la produzione squisitamente grafica (se effettivamente la contempli in quanto tale), e quella che poi diviene libro? I tuoi volumi, graphic novel il cui movimento avviene semplicemente attraverso passaggi emotivi che si palesano in un rincorrersi di disegni, sono oggetti squisiti e altamente godibili, più che come racconto come oggetto emozionale… ci dici che significato hanno per te e come nascono?
Andrea è un amico che ha passione e coraggio, così è andata a finire che per la mostra presentiamo due libri: uno con il lavoro per i filmini disegnati e l’altro con i filmini con la macchinetta fotografica. A me piace molto fare libri, ho la fortuna, il piacere e la necessità di farli. Quando posso fare un libro ho solo una guida, che è Walter Benjamin quando parla del montaggio, del rapporto e del ritmo tra le cose, che è possibile produca da solo un senso, della possibilità di costruire una filosofia solo montando materiali scritti e disegnati da altri. Cerco di fare un libro dandogli una vita e un’autonomia complementari ai disegni che contiene, un libro è anche l’occasione per prendere una distanza dal lavoro fatto, sgravarsi, e continuare più leggeri.

Progetti per il futuro? Puoi dirci che direzione sta prendendo la tua arte?

Sto disegnando un filmino nuovo che si allunga, c’è il racconto, voci, molti suoni che registro soprattutto dal vivo e anche canzoni, che sono per me come una specie di film musical inciampato, che singhiozza: io credo che sia anche un filmino per bambini, spero di riuscire a finirlo come l’ho in testa. Disegno anche una storia a fumetti, lunga, per la prima volta scrivo anche il testo, piena di cose per me da imparare, ha a che fare con l’andare via, lasciare il posto dove si è vissuto, e con la perdita di sé; ci sono alcuni animali, delle persone e molti posti che voglio disegnare, ma cerco anche lì un certo humor fisico, direi che c’è anche da ridere: la mia fidanzata e due miei amici, quando l’hanno letta hanno riso!

La mostra in breve:
Come guidare la macchina cieca
Stefano Ricci per il Festival Filosofia 2010
galleria D406
Via Cardinalmorone 31/33, Modena
Info: +39 059 211071
www.d406.com
Inaugurazione venerdì 17 settembre 2010 ore 18.00
17 settembre – 26 ottobre 2010

In alto:
Disegno a pastelli a cera su carta, serie animazione Mary Sconta, 2009, cm 48×24
Sotto:
Disegno a pastelli a cera su carta, 2010, serie “come guidare la macchina cieca”, m 1,85, Modena, Festivalfilosofia 2010 sulla “fortuna”

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