Non sei registrato? Registrati.
INTERVISTA A GIULIANO BABINI DI VIVIANA SIVIERO

Quale umano di qualunque genere e grado, nella sua vita non ha studiato e desiderato vedere Giustiniano, Teodora e gli altri, celebri celebrati ricomposti attraverso migliaia di piccole tessere di vetro? In campo internazionale se Firenze coincide con Arte, mosaico “È” Ravenna. Diverse croci e delizie tormentano il medium: dal suo rischio continuo di scivolamento nel fare artigiano, un po’ come è in genere per la ceramica, ma soprattutto il suo esimio passato che pare aver condannato da allora il futuro afflitto dallo spettro di non poter essere all’altezza. Eppure, in mezzo a tanti che ci costringono nei circoli viziosi della copiatura dei modelli (del fare se non della forma), ci sono maestri dalla tecnica e dalla creatività sopraffine: uno fra tutti, Giuliano Babini, maestro nella ricerca di un presente per il mosaico, che sia moderno, a cavallo fra i differenti generi, dal design all’installazione, in linea con la morfologia dell’era contemporanea che ha sfondato, dissolvendoli, i confini. Sembra dire il suo credo che il passato è magnifico e resterà per sempre tale, ma è defunto….

Viviana Siviero: Tu sei un maestro, che ha collaborato con grandi personalità: designer – ma non solo – ti hanno affiancato, ci racconti?
Giuliano Babini: Ricordo con affetto il lavoro con Bruno Saetti. E poi un’esperienza essenziale e folgorante è stata quella che si è consumata nella seconda metà degli anni ’80 alla Summer School del Museo dell’Arredo Contemporaneo Biagetti di Russi alla quale partecipai con Francesca Fabbri di Akomena Spazio Mosaico. Lì ho avuto la fortuna di lavorare con Ron Arad, Ettore Sottsass e Gaetano Pesce. L’affermazione di Pesce «il mosaico deve essere morbido!» è stata per noi una folgorazione. Da quel workshop è nata l’idea dei Sassoft, uno dei grandi successi di Akomena, e il pensiero di poter usare il silicone e le resine plastiche insieme alle tessere musive.

Che cosa hai realizzato con Saetti, ci puoi raccontare l’esperienza?
Era un artista che conosceva sia l’affresco sia il mosaico; ho lavorato per parecchi mesi nella sua casa studio fra Bologna e Firenze: con lui facevo soprattutto lavori a più mani, dove intervenivano diverse personalità. Abbiamo lavorato sul tema delle facce di angeli, ma soprattutto sui soli che erano uno dei suoi temi preferiti e su di un mirabile San Michele che era destinato ad una cappella privata ma che fu, appena l’artista morì, donato al parco della Pace di Ravenna. Il suo insegnamento è stato per me fondamentale: Saetti partiva da un supporto qualsiasi, aggiungendo e sottraendo direttamente sul supporto e annullando di conseguenza i limiti al punto di far diventare fragile l’opera e questo mi ha fatto acquisire in primis un’idea nuova di mosaico.

Arad, Sottsass e Pesce: tre esimie personalità che danno l’impressione di essere straordinariamente d’ispirazione…
La frase di Pesce sulla morbidezza del supporto è stata per me illuminante: il supporto morbido ha fatto si che si utilizzassero le resine per il mosaico, cosa straordinaria, perché fino ad allora la tecnica era basata su un concetto solido di cemento. Grazie a questo siamo passati a contemplare per il mosaico supporti altri, come la tela, che trasformava il risultato finale da statico ad elastico e sperimentale anche dal punto di vista formale. Con Sottsass la cosa più bella che realizzammo era una tiratura limitata messa in produzione da Dilmos a Milano; si trattava di una sorta di urna per le lettere d’amore, da aprire prima di morire per fare un bilancio della propria vita. Oltre a questo, molto altro come il prototipo di un attaccapanni, di un tavolino ma soprattutto l’atrio del Museo dell’Arredo Contemporaneo di Russi vicino a Ravenna, concepito come un’architettura finta su un’architettura vera. Oltre a loro aggiungo gli indimenticati Bonetti e Serafini, personaggi che definirei equilibristi fra il design e l’arte. Ognuno di loro ha creato un frammento della mia formazione, in qualche modo portato avanti come eredità filosofica da Akomena.

Metamorfosi è il titolo della tua attuale mostra (fino al 2 novembre) in cui esponi una serie di opere presso la cripta Rasponi di Ravenna: creature ossimoro, archetipo e memoria, specchio di quale contemporaneità?
Si tratta di una mostra composta da quattordici sculture nelle quali racconto un bestiario contemporaneo dove trovano spazio l’iconografia norrena, quella egiziana, quella greca, contaminate da un perturbante più attuale. Sono creature indefinite, il riflesso di un dissolversi dei confini di genere, animale, sessuale, sacro e profano, tenerezza e brutalità. Sono anche lievemente alchemiche nella scelta dei materiali: tessere musive, mosaico lapideo, paillettes, perle, teschi, ossa, corni, bronzo, piombo, ma anche poliuretano, cemento e lampadine! Riguardo la mia poetica mi piace pensare ad un percorso che dalla superficie piana mi ha portato negli anni alla tridimensionalità, attraverso il mosaico, attraverso il design che mi ha costretto a interrogarmi sullo spazio. Partendo da quei luoghi sono arrivato gradualmente alla scultura. Una scultura fortemente iconica che però costruisce luoghi nuovi, assonanze-dissonanze che mescolano il familiare con il diverso, con ciò che destabilizza le nostre sicurezze. Ma, nello stesso tempo, riesce a trovare una relazione affettuosa e ironica con questa parte oscura che a prima vista saremmo portati a temere. I miei mostri hanno sempre uno sguardo dolce, anche se sono decisamente inquietanti.

Mosaici Contemporanei in Antichi Contesti: Giuliano Babini, Metamorfosi
Cripta Rasponi e Giardini pensili della Provincia
24 settembre – 2 novembre 2011
Orari: tutti i giorni 10-13 e 15-18.30
Biglietto d’ingresso: euro 2 (biglietto ordinario di ingresso alla Cripta Rasponi e ai Giardini Pensili)
Info: +39 0544 215342

www.giulianobabini.it

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •